| Shuren |
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Con la violenza uccisi chi invidiavo, ma non chi odiavo. Con il tradimento uccisi la fiducia, ma non l'amore. Con il furto uccisi un desiderio, ma non la sua fonte.
Quel giorno la vita decise di insegnarmi tre leggi fondamentali da rispettare, soltanto aspettò che io le trasgredissi, senza nemmeno mettermene a conoscenza invece che prevenire la crescita del seme dell'odio nel mio ego. Per farla breve, inizierò da subito, ma concedete che io aggiunga una piccola, anzi piccolissima prefazione alla mia storia: la vita è una merda. Chiaro, no?
1 Sostanzialmente, un individuo fin dalla nascita non può essere definito nè buono nè malvagio, può solo essere inclinato verso uno o l'altro; può contribuire in questa inclinazione una famiglia disastrata, o l'assenza di essa come nel mio caso, un ambiente ostile e malfamato, come nel mio caso, o un'ambizione esagerata, come nel mio caso. Per carità, non sto cercando di giustificarmi, anche se vorrei poterlo fare... non rinnego, ma nemmeno accetto.
2 La riconoscenza di un uomo finisce laddove terminano i benefici che si possono trarre da un altro; nel momento in cui non ebbi più niente da imparare, niente da guadagnare da Jinpachi, solo l'amore nei suoi confronti costruiva una debole barriera che mi separava dall'omicidio. Appare quindi alla mente dei più che essere generosi risulta inutile, se non nocivo, e questo è un altro motivo che riconferma il concetto espresso nella prefazione; per chi non se lo ricorda, la vita è una merda.
3 Quando odiamo qualcuno, odiamo nella sua immagine qualcosa che è dentro di noi, quindi, odiamo una parte di noi stessi. Come si può pretendere la presenza del bene se fecondiamo il suo esatto opposto addirittura nel nostro stesso io? Lui mi aveva plasmato, lui aveva reso me uno spadaccino, lui mi aveva dato la vita, lui mi aveva dato un'identità.... lui, mio padre, e io lo uccisi.
Guardai la sua pelle, solitamente scura, farsi di colpo pallida e i suoi muscoli contrarsi in spasmi di atroce agonia, mentre il veleno lentamente spegneva ogni sua funziona vitale. Lo fissai negli occhi, e vidi stupore, dolore, e compassione uniti in simbiosi trapelare da amare lacrime che lentamente solcavano il viso di Jinpachi Munashi, membro dei Sette Spadaccini della Nebbia... poi un tonfo sordo, il rumore di un corpo che cade a terra per non rialzarsi più. Come in trance, il mio sguardo vuoto guidava le mie lunghe gambe nel breve percorso che mi separava dalla sua camera, dal mio desiderio, mentre il crepitio del legno mi accompagnava da complice e testimone al tempo stesso. Aperta la porta, dovetti chinarmi come di consueto vista la mia mole: poggiata sul letto, Homatsu era lì, distesa e strabiliante nella sua bellezza, nella sua fattura, nella sua genialità.
Sono qui Melk, prendimi! Urlò, posso giurare di averla sentita urlare il mio nome, di aver implorato di essere impugnata da me, colui che solo ne aveva il diritto e che di certo non poteva rifiutare una proposta del genere. Scattai, quasi indemoniato, incapace di comprendere ciò che avevo fatto, e l'afferrai con salda presa, per poi tornare nella sala principale. Incrociai ancora una volta, l'ultima volta, lo sguardo con il cadavere mentre nascondevo il cibo avvelenato che avevo usato per il patricidio: tutto era pronto, e chiudendomi la porta alle spalle abbandonai in quella casa mio padre e il mio cuore.
Avevo almeno sei ore prima che cominciasse la riunione delle forze speciali di cui faceva parte Jinpachi, e prima di quel momento nessuno si sarebbe accorto di niente... dovevo fuggire. Con la spada infilata nel grosso borsone, decisi di camminare con passo sostenuto, senza correre o affaticarmi, nonostante mi riuscisse difficile tenere a bada l'euforia, o il dolore, che dir si voglia: un uomo di venti anni e due metri di muscoli scolpiti che corre in modo sfrenato non sarebbe stato proprio il massimo della furtività. Semplicemente, mi coprii il volto con una benda. Raggiunsi in circa una mezz'ora il porto di Kiri, il Villaggio della Nebbia che tra i tanti mostri che annualmente partoriva aveva voluto, tempo prima, anche me tra le sue fila; al mio arrivo, scambiai due parole con un vecchio che possedeva una piccola barca, e facendo leva sulla mia "importanza" lo convinsi a scortarmi fino all'isola dell'Ovest, non troppo lontana da lì. Qualche minuto di preparazione, e l'imbarcazione cominciò il suo viaggio nelle fredde acque, segnando la fine di ogni mio rapporto con quel villaggio.
Il silenzio aleggiava nascosto nella nebbia, disturbato saltuariamente dal rumore del remo che pigramente scansava piccole quantità di un mare troppo vasto per accorgersene... e nella noia di un iter che sarebbe durato non so quante ore, la mia mente sembrò riprendere vita tutto a un tratto, l'assenza di suono divenne frastuono nella mia calotta cranica. Cosa avevo fatto? Allontanai con paura il sacco che aveva contenuto fino a poco fa il motivo della mia gioia, divenuto poi il simbolo terreno delle mia empietà, della mia debolezza, del mio essere umano. Avevo rinunciato al bene di un padre che mi aveva donato tutto, ad una vita degna di essere definita tale, ad una città che nel bene e nel male mi aveva ospitato, per cosa? Per una fottuta, insignificante spada. Homatsu ancora mi reclamava, e io non avevo il coraggio di buttarla nelle profondità del mare e cercare di rimediare a quello che avevo fatto, o almeno affrontarne le conseguenze: ero un debole e irriconoscente ammasso di carne e ossa, e come tale me ne rimasi immobile, senza dare segni di vita.
Un salto temporale, e mi ritrovai dinnanzi uno dei più bei spettacoli della mia vita... l'arcipelago dell'Ovest in tutto il suo splendore. Il vecchio mi toccò la spalla, segno evidente di come avesse fretta di tornarsene a casa: non lo salutai nemmeno e scesi dalla barca, con l'acqua che mi arrivava fino alle ginocchia. Poi un tonfo, e girandomi vidi il grosso sacco galleggiare in quel limpido specchio... l'avevo volutamente lasciata lì sopra, ma il destino voleva a tutti i costi che il mio percorso andasse di pari passo con quello di Homatsu. Raccolsi l'involucro senza guardarlo e lo trascinai sulla sabbia, dove mi distesi, occhi rivolti al cielo, lagrimanti. Intorno a me, solo bellezza serenatrice. Dentro di me, il chaos distruttore.
CITAZIONE La prima parte è l'introduzione del Melk vecchio, la seconda come si evince è il racconto vero e proprio del Melk giovane. Spero di aver eseguito il tutto correttamente, il fatto che il personaggio si limiti a stendersi sulla sabbia è semplice indice di rassegnazione e abbandono, non riesce a pensare ad altro. Chakra: 10/10 Situazione Fisica: Perfetta Situazione Mentale: Chaos. Equip: Homatsu, 10 kunai, 10 shuriken
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