Post Di Raksha
Konoha.
Una giornata come le altre o, perlomeno, questo si aspettavano i cittadini mentre il sole spandeva il proprio dominio sulla terra, annunciando la su vittoria sulle tenebre della sera precedente.
Il vento era calmo e la mancanza di nuvole lasciava presagire ad un tempo sereno che non avrebbe contrastato le attività lavorative programmate.
Gli shinobi di guarda alla porta lasciano passare un giovane alla guida di un carretto, senza neanche aver controllato all'interno. Il carretto era trainato da Raksha, un chunin di Konoha, e questo era un lasciapassare più che sufficiente.
Pochi minuti dopo, il viaggio durato tre settimane giunge finalmente al termine. E' innanzi il portone principale di quella costruzione che una volta chiamava casa e che, finalmente, sarebbe tornato a chiamare a quel modo, dopo lo sventurato giorno in cui, affrontando l'ira del padre, nonché capo-clan, venne disconosciuto e marchiato con le cicatrici dell'umiliazione, oltre che quelle fisiche di cui era ancora portatore.
Sorrise pensando agli anni di pazienza che tutto ciò era costato, agli anni di duri allenamenti e sofferenza accanto all'unico essere che lo aveva sempre compreso, l'unico che gli stava accanto dalla nascita senza chiedere nulla in cambio, Rikimaru, il suo cane lupo dal pelo argentato.
Cerca un'entrata trionfale mentre sulle spalle regge quello che pare un corpo ferito e curato alla meglio. Il corpo che era riuscito a recuperare circa tre settimane prima quando...
...quando il ragazzino era arrivato alla frutta e ora se ne stava disteso semi-cosciente credendo di essere al riparo dal quinto mercenario. Lui, invece, lo aveva fiutato e, tendendogli un'imboscata, lo aveva amanettato con quelle che parevano manette il agalmatolite. Quindi, avendo annullato i suoi poteri di trasformazione e manipolazione del ghiaccio, lo aveva incatenato per bene.
- E ora passiamo alla paga. I Miei compagni sono morti e la ricerca di altri nuovi costerà molto...-
Il quinto shinobi non ebbe il tempo di terminare la frase poichè il cane, con uno scatto, gli recise la carotide. Lasciando anche il quinto cadavere, con un ghigno rivolto verso la luna, Raksha prese il fagotto e tornò nella vicina cittadina.
Li trovò un dottore, uno di quello che non aveva paura di sporcarsi solo le mani, ma anche la fedina penale, fece curare il suo piccolo tesoro e, rubato un carretto, lo gettò all'interno, lasciando il cane a fare da guardia al prigioniero.
Ora, mentre era innanzi al viso sbigottito di suo padre, riviveva con gusto tutta quella faccenda, costata anni e opportunità alla sua vita.
-Mi era sembrato di averti bandito da questo clan... Figliolo.-
L'ultima parola venne proferita con una punta di disprezzo abbastanza evidente dall'uomo che si proferiva portatorte di pace e armonia all'interno del clan. Suo padre, colui che lo aveva bandito, che lo aveva privato del titolo di capo-clan.
Raksha notò che il tempo non era stato genitle con suo padre. La folca chioma corvina ora era diventata color sale e pepe e, al suo fianco, oltre che il cane genitore di Rikimaru, vi era un bastone con la quale si sorreggeva a fatica.
I membri più giovani e aitanti del clan, intanto, lo avevano circondato, mentre i loro segugi ringhiavano contro la sua figura. Rikimaru, come il suo padrone, non si scompose e sembrava come se li stesse guardando con aria di sfida.
-P a d r e c a r o ... Sono venuto a riscattare il mio onore, nonchè iciò che mi apartiene per diritto di nascita.-
Detto questo getta il corpo semi-cosciente del ragazzo dalla chima argentea e ferito.
Il padre era un uomo dedito alla giustizia, al contratio di suo figlio spietato e sanguinario. Per questo lo aveva bendito, nonostante fosse uno dei membri più forti e promettenti. Il vecchio non riusciva a sopportare l'aggressività di suo figlio che, spesso e volentieri, riduceva in fin di vita tutti i membri del clan con la quale conduceva i suoi "allenamenti personali".
-Non vi è nulla che possa far cambiare il mio giudizio di 5 anni fa.-
Disse il vecchio muovendo la bocca rugosa che pareva straziata dal dolore del ricordo. Gli occhi oppannati dalla stanchezza, dalla vecchiaia e dalla sofferenza.
-Neanche quello che hai cercato per tutta la vita? Questo ragazzo se ne è cibato e ora io l'ho incatenato. Vedi? tua moglie ha dato alla luce...-
Colui che ti ha servito il frutto a cui hai tanto ambito. Questo avrebbe detto se l'ira del padre non lo avesse bloccato.
-Mia moglie è morta dandoti la vita e tu le dici questo? Sei un dannato ingrato, sparisci dalla mia vista. Portatelo fuori...Portatelo fuori.-
Scoppiò in un pianto, ripensando al giorno in cui vide sua moglie dare ala lcue con tanto amore e sofferenza, quel fagotto che, forse nutrito dal rancore che il padre provava per la morte della donna, era divenuto una macchina da guerra.
~•~
Recuperi i sensi che sei in una camera accogliente. Il letto e soffice e il tuo corpo, colmo di cicatrici e vecchi segni di bruciature, sembra essere accudito da un'avvenente fanciulla.
Hai ricordi sfocati della tua prigionia, di quello che è accaduto nella hall del clan, ma in mente è ben vivido il ricordo che hai del viso di quella ragazza che sorreggeva il capo clan.
Descrivi il tutto, cosa provi e cosa hai intenzione di fare e se vuoi porgi delle domande alla ragazza.
P.s. Scusa per l'autoconclusività con cui ho trattato il tuo pg, ma era necessaria per giungere sino a questo punto. Siamo alle battute finali.