| Baku |
| | Quella notte Shion era tornato senza troppe preoccupazioni nella sua dimora entro i confini di Konoha, la vecchia casupola di campagna dove era stato curato l'aveva abbandonata ormai da qualche giorno. Non aveva paura che Raijin potesse informare gli altri delle sue intenzioni, si conoscevano ormai da anni e l'amico gli aveva sempre voluto bene, non avrebbe operato in contrasto alle sue intenzioni. Bevve un bicchiere di acqua gelida e passò una notte tranquilla nel suo candido letto. Quella notte fece uno strano sogno, forse un ricordo di quando era bambino: si trovava nella foresta e intorno a lui tutto era oscuro, all'improvviso sbucava dalla foresta un enorme lupo che gli addentava la gamba con le proprie fauci. I contorni del sogno sfumarono in un grido di dolore che lo svegliò, era la gamba, il sangue gli stava ribollendo dentro le vene. Scoprì le coperte e vide che tutte le vene si erano tinte di nero e adesso la gamba aveva un colore grigiastro che sapeva quasi di marcio. Tentò di alzarsi dal letto ma non riusciva a muoverla e così strisciò per pochi metri trascinandosela dietro prima di svenire. Quando si svegliò si trovava dentro il letto, erano le 5 del mattino, si guardò la gamba con terrore ma non era rimasto nessun segno dei dolori della notte. Si era forse immaginato tutto? Un sogno dentro al sogno, la ipotizzò così, anche se dentro di sè sapeva che non era così. Prese inconsciamente atto che quello che il misterioso dottore gli aveva iniettato non era vero potere, era un sangue marcio, decadente quello che gli scorreva dentro le vene, il sangue di una dinastia che l'alzare inutilmente il capo contro il mondo l'aveva portata all'estinzione. Erano cose che sentiva dentro di sè, ma che non poteva accettare al livello del conscio, in tal caso tutte le speranze di fuga sarebbero sfumate insieme con il desiderio di potere. Aprì la finestra. Aveva vissuto a lungo nel villaggio della foglia e quando era piccolo amava guardare gli altri bambini che si divertivano alle altalene del parco di fronte casa sua. Non era mai stato un tipo socievole ma quando aveva nove anni un giorno c'erano dei bambini che stavano giocando a fare i ninja e i pirati che combattevano su di una nave (che loro avevano improvvisato come un pezzo di legno, largo qualche metro sul quale saltavano qua e la) e Shion li stava guardando, muto. Amava divertirsi così. Fu allora che uno dei ragazzini gli si avvicinò e disse "Perchè non vieni a giocare anche tu? Vogliono fare tutti i cattivi e così sono rimasto soltanto io con i buoni." Shion non rispose ma il bambino gli sorrise e gli tese la mano. - Mi chiamo Kategetsu Honda, ma tutti mi chiamano Raijin. - Sh..Shion - gli afferrò la mano e si alzò insieme a lui. - Allora giochi, evviva! - Raijin era fuggito a combattere contro gli altri ragazzini. Era così che si erano conosciuti e adesso che Shion ci ripensava un sorriso si delineava dolcemente sul suo volto, non si era mai divertito tanto come quel giorno, presto il sorriso si trasformò in ironico, era quasi paradossale che si fossero conosciuti in una situazione del genere. Uscì fuori di casa per andare nella foresta ad allenarsi. Adesso alla luce del giorno, tutti i pensieri che aveva meditato la notte prima si facevano sempre più futili. Raijin non avrebbe mai potuto seguirlo in una simile impresa, lui desiderava diventare Hokage per proteggere i più deboli come aveva fatto finora con Shion. Ma era anche vero che se prima era debole, adesso era capace e tutto questo grazie al potere che un uomo sconosciuto gli aveva donato. Se qualcuno andava a spasso con una simile capacità, la capacità di far tornare validi gli invalidi, doveva essere vero che al di fuori del villaggio esistessero poteri che andavano al di là di ogni immaginazione. Una volta quando la sua età era più tenera, il maestro dell'accademia aveva accennato a leggendari frutti che donavano capacità straordinarie a coloro che li ingerivano. Al tempo pensava che fosse soltanto un'altra delle leggende e delle storie che si raccontano, ce ne erano molti all'interno del villaggio. Ma adesso perchè non provare? Le possibilità infinite che si erano aperte nella sua vita erano così tanto che optare per rimanere rinchiusi nel villaggio era pura follia. Si, scappare era la cosa migliore, non lo faceva per un atto egoistico, o almeno così si diceva, ma il villaggio non permetteva a quelli capaci come lui e Raijin di riuscire, di poter sfruttare al massimo le loro potenzialità. Rajin, forse non ora, ma un giorno se lo sarebbe meritato sicuramente di diventare Hokage e forse anche qualcosa di più ma le gerarchie sono il male della società e lo avrebbero lasciato per tutta la vita incatenato a una posizione non superiore di quella del sensei Sochimaru. Si guardò attorno, mentre questi pensieri si rimescolavano nella sua testa, aveva già fatto cadere 3 alberi, un mese prima era costretto a una sedia. Quella notte se Raijin si fosse presentato ai cancelli della città sarebbero fuggiti insieme, non poteva desiderare nulla di più, se così non fosse stato, sarebbe fuggito da solo e un giorno sarebbe tornato per mostrargli che ciò che gli aveva detto era vero. Era il tramonto, tornò a casa e fece gli ultimi preparativi. Si rimise la fascetta con il simbolo di Konoha sulla testa, prese una veste e una cappa che gli coprisse il volto una volta uscito dal villaggio e li mise dentro una sacca; infine aprì il piccolo scrigno che sua madre gli aveva lasciato in eredità e prese i tarocchi. Erano tarocchi speciali, per un totale di 20, sopra vi erano impresse a tinte fosche le figure tipiche di quelle carte, come se non bastasse non erano incise sulla carta ma sull'avorio, così lavorato da risultare tagliente. Dicevano che sua madre riuscisse a leggere il futuro con quelle carte, lui non aveva mai creduto nella sorte, no non era un superstizioso ma stranamente diede un veloce mischiata al mazzo e dispose tre carte coperte di fronte a lui sul tavolo. Scoprì la prima carta, il passato, e la figura che ne riuscì fu quella dell'impiccato. La seconda, il presente, rivelò il Matto, un giullare che fugge da un cane che lo rincorre lacerandogli i vestiti. Infine scoprì l'ultima, la carta del futuro, e aveva impressa la figura di un uomo che sedeva su un trono con le gambe incrociate e uno scettro nella mano destra, l'imperatore, simbolo di potere terreno, non aveva dubbi ormai. Uscì di casa, fuori c'era la luna piena, e si diresse alle porte del cancello. Shion camminava a passo lento, ogni passo che compieva lo separava dal suo villaggio natale, vi era affezionato ma nessuno poteva capire cosa provava realmente in quel momento, se qualcuno avesse voluto avrebbe dovuto rimanere senza l'uso del proprio corpo in un villaggio dove l'allenamento fisico contava più di qualsiasi altra cosa. Arrivò di fronte ai cancelli. Si voltò, le nubi stavano coprendo la luna e adesso ciò che se ne poteva scorgere era soltanto la metà. La mezzaluna, era così che si sentiva anche lui, dilaniato per metà dalla luce e nell'altra metà immerso nelle tenebre. Ecco che il rumore di arbusti accompagnava l'arrivo di una figura, non c'erano dubbi, si trattava di Rajin. Shion sorrise, era felicissimo. In quel momento capì che voleva veramente andarsene di lì, adesso non si lasciava indietro veramente niente. Ma il volto di Raijin era serio quanto non l'aveva mai visto. Da fin quando ne aveva ricordo l'amico non aveva mai abbandonato il sorriso, anche nei momenti più duri, anche quando Shion si ritrovò immobilizzato anni addietro lui aveva sempre una battuta pronta, qualcosa che potesse far sorridere tutti. E in quel momento, il sorriso del bambino di nove anni che gli porgeva la mano per chiedergli di giocare insieme, non c'era più. Guardò Shion, il suo sguardo mirava alla parte più profonda della psiche del compagno, quella che non puoi vedere, può soltanto chi ti è stato amico per così tanto tempo. - Sei dunque deciso a farlo sul serio.... Shion L'amico non rispose, adesso si era fatto serio anche lui, annuì con un semplice gesto del capo, fermo, deciso. Un silenzio tombale calò nel villaggio, tutto ciò che si poteva sentire era il tintinnio dei campanellini appesi alle porte di alcune botteghe del villaggio e il frusciare del vento che li accompagnava dolcemente. I capelli di Shion furono mossi dal vento e in quel momento Raijin notò che avevano davvero il colore della luna che ora stava per essere completamente coperta dalle nuvole. - Raijin, vieni con me - Ma perchè? - Perchè cosa? mi sembra di avertelo già spiegato. - Perchè vuoi distruggere tutto. Shion non rispose, abbassò lo sguardo, si riaggiustò lentamente i capelli e tornò a guardare l'amico. - Oggi ho ripensato a quando ci siamo incontrati, ti ricordi, avevamo nove anni, tu stavi giocando insieme con gli altri ragazzi e mi hai detto " vogliono fare tutti i cattivi e così sono rimasto soltanto io con i buoni" e allora venni a giocare insieme a te. Non mi sono mai divertito come quel giorno. - Shion si fermò per qualche istante come se la sua mente fosse volata ad altri tempi, c'era la tenerezza del bambino nei suoi occhi, poi continuò - Era proprio così, ed è così, noi uomini non siamo nati per essere ancorati a un villaggio, non è questione di buoni o cattivi ma allora quando eravamo bambini non potevamo capirlo, c'è bisogno di libertà, non di stupide leggi. - Ma Shion, allora giocasti insieme a me e non solo trovasti un motivo per combattere, hai trovato un amico. Non è detto che perchè tutti lasciano una causa, per questa non si debba più combattere. Forse hai ragione tu, i buoni e i cattivi non esistono, ma esiste sicuramente ciò che è giusto e ciò che non lo è, e io sono fortemente convinto che combattere per questo villaggio, combattere per coloro a cui tengo, combattere per te, sia la cosa giusta. - Raijin, amorevole idealista, c'è altro per cui vivere, non puoi continuare a sognare qui tra le mura di uno stupido villaggio. - Non te ne andare Shion... - È il mio compito, nei tuoi confronti, nei miei e in fondo anche nei confronti di Konoha. Ma tu non puoi capire, nessuno mi può capire. Seguimi o rimani per sempre nella tua mediocrità, addio Raijin. Detto ciò, Shion si voltò verso i cancelli del villaggio. Una parte di lui gli implorava di tornare indietro di non fare altri passi in avanti ma la nuova determinazione che aveva maturato in quel periodo spinse la gamba destra in avanti verso il suo futuro, la libertà e il potere. Pianse. Non fu che una lacrima fantasma che non bagnò il terreno. Pianse ma non fisicamente, pianse con lo spirito.
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